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COVID-19

Come sono cambiate le Terapie Intensive in Europa

di Daniela Berardinelli

Tutte le terapie intensive europee hanno dovuto ampliare il numero di posti letto e rimodulare i carichi di lavoro in relazione al netto aumento di ricoveri dato dall’emergenza Covid-19. Uno studio che ha coinvolto tutti i 27 stati membri dell’Unione Europea attraverso un’indagine online e pubblicato su Assistenza Infermieristica e Ricerca ha analizzato quali cambiamenti organizzativi si sono susseguiti nelle terapie intensive e le caratteristiche principali dell’assistenza infermieristica ai malati Covid-19 ricoverati in terapia intensiva.

Terapie intensive Covid, cosa è cambiato

Tutti gli ospedali intervistati hanno aperto nuovi reparti, anche trasformando le sale operatorie in terapie intensive nel 70% dei casi, per ospitare pazienti Covid positivi e hanno limitato l’accesso ai parenti.

La maggioranza ha sospeso l’attività chirurgica elettiva e nel 70% dei casi sono state allestite aree esterne per la gestione del triage ospedaliero, con relativi percorsi dedicati al trasporto dei pazienti in isolamento.

L’aumento dei posti letto

Quasi nel 90% dei casi sono stati aumentati i posti letto e il numero di infermieri, ma il rapporto infermiere/paziente non è diminuito, anzi, è passato da 1 infermiere per 1,5 pazienti a 1 infermiere per 2 pazienti.

Le pratiche assistenziali

Quasi il 90% degli intervistati ha dichiarato di aver pronato i propri pazienti. I presidi respiratori più utilizzati sono stati la maschera di Venturi per i pazienti in respiro spontaneo e le maschere facciali per coloro che erano trattati con ventilazione non invasiva.

Quali rischi per l’assistenza

Gli aspetti dell’assistenza che gli infermieri hanno documentato come maggiormente compromessi dall’elevato carico di lavoro sono stati: la sicurezza delle cure (valutazione e gestione dei rischi), l’igiene personale (soprattutto quella del cavo orale) e la mobilizzazione (ginnastica passiva a letto).

Per quanto riguarda la sfera psicologica: la comunicazione verbale e non verbale, il benessere emotivo e l’assenza di supporto per i pazienti da parte dei loro familiari specialmente in Italia, Francia e Regno Unito. L’aumento dello stress psicologico è stato riportato da più del 60% dei partecipanti, soprattutto per quanto riguarda la difficoltà nel garantire un’assistenza adeguata ai pazienti, l’impossibilità di accogliere i parenti degli assistiti e il distacco dalla propria famiglia per la paura di essere fonte di contagio.

Le carenze

Circa il 65% ha dichiarato una carenza di DPI e quasi il 50% ha riferito di averli sostituiti ogni 4-5 ore di utilizzo. Tutti i DPI utilizzati, ovvero tuta protettiva, schermo facciale, maschera FFP2, doppio paio di guanti hanno causato una importante fatica fisica per la maggior parte degli operatori e maggiori impedimenti nella gestione delle pratiche assistenziali. Meno della metà degli operatori sono stati sottoposti a screening con tamponi regolari esponendo sanitari e pazienti ad un maggior rischio di contagio.

Tutti questi dati dovrebbero fungere da monito per il presente che stiamo vivendo e il prossimo futuro, tutelare chi assiste per garantire esiti di cura ottimali deve divenire ancora di più, oggi, un imperativo categorico.

NurseReporter

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