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Wound Care

Mission Compression

di Sandra Ausili

Diffondere l’importanza della compressione nel trattamento dei pazienti con lesioni vascolari degli arti inferio­ri formando i professionisti sanitari e condividendo le best practices. È l'obiettivo di Mission Compression, progetto internazionale organizzato ogni anno dalla Urgo Foundation, che per la prima volta arriva in Italia. L'occasione è stata una sessione aperta di confronto tra specialisti ed operatori del settore nel corso del XVII Congresso nazionale AIUC, dalla quale è emersa in maniera evidente l'importanza di una sinergia nuova tra formazione e comunicazione sul tema terapia compressiva.

Identificare nuove strategie di approccio alla terapia compressiva

Urgo Foundation è nata con la missione di supportare e formare i professionisti sanitari affinché possano migliorare le cure dei loro assistiti. Per questo, realizza progetti per migliorare i protocolli di cura e le competenze necessarie per l'assistenza ai pazienti.

Mission Compression, patrocinato da AIUC, rientra tra questi progetti e per il suo lancio in Italia è stato scelto proprio il XVII Congresso nazionale dell'Associazione italiana ulcere cutanee. Nel corso del Congresso, infatti, si è tenuta una tavola rotonda (trasmessa anche in streaming) per identificare nuove strategie di approccio alla terapia compressiva.

Moderata da E. Ricci, la tavola rotonda ha visto alternarsi gli interventi di G. Mosti, V. Mattaliano, A. Macciò, R. Polignano, S. Piazza, D. Granara, M. Marchelli, S. Sandroni, M. Pittarello e S. Di Santo Vicedirettore di Nurse24.it.

Fulcro della discussione, alla quale ha partecipato attivamente anche il pubblico presente in sala, il tema della terapia compressiva nel trattamento dei pazienti con lesioni vascolari degli arti inferio­ri, una condizione cronica e recidivante che può gravemente compromettere la qualità di vita di una persona.

Si tratta di lesioni dolorose, a forte rischio di infezione e che rendono problematico lo svolgimento delle attività quotidiane. Una patologia dal decorso prolungato a causa della difficile tendenza a guarire e di frequenti recidive, con un impatto sociale e umano molto elevato.

Lesioni per le quali, ad oggi, il Sistema Sanitario Nazionale investe pro capite/anno 36 centesimi (dei quali il 22% va in Iva e circa il 4% in payback). Una cifra che si commenta da sola. Ma ad essere carenti non sono solo i finanziamenti: come emerso dagli interventi dei relatori - e come confermato dal pubblico in sala e dai partecipanti alla survey - la formazione sulle ultime evidenze circa il bendaggio compressivo è carente e disomogenea a livello territoriale.

A causa di questo, la terapia compressiva è ancora scarsamente applicata: sono ancora troppi i dubbi su quando bendare o quando no, su perché bendare e come farlo, su come favorire la compliance del paziente al piano terapeutico.

Dalla discussione è emerso che la formazione deve essere una costante nell’esercizio professionale e, come professionisti della salute, ci si dovrebbe sempre chiedere se le pratiche assistenziali abbiano, ancora, una solida base scientifica.

Se non ci si pone questa domanda e se i risultati ottenuti non corrispondono alle aspettative, allora è necessario affrontare il problema. Che evidentemente c'è. Come farlo? Costruendo sinergie nuove anche tra competenze diverse da quelle strettamente legate alla salute.

Formazione o comunicazione: cosa serve?

Intorno a questa domanda si è concentrata la riflessione finale dell'intero dibattito, confluita nella convinzione che la domanda da porsi, in realtà, non è tanto se si abbia bisogno di formazione oppure di comunicazione, quanto piuttosto come si possano integrare questi due fattori in modo efficace. Perché la risposta non è nella dicotomia, ma nell’alleanza tra loro.

Come confermato anche dagli interventi provenienti dalla platea, la formazione non può essere un evento unico e/o confinato in spazi e tempi definiti, ma deve essere qualcosa di vivo e vitale, che si adatti ai cambiamenti, alle innovazioni, alle nuove evidenze e alle necessità dei discenti.

Sì, perché ne vanno considerate tutte le sfaccettature, ricordando in particolare che la formazione è anche sempre e comunque relazione: tra professionisti o tra professionista e assistito.

E se è vero che, prendendo in prestito una citazione del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione, si manifesta la necessità e l'urgenza che questi due mondi si sposino tra loro.

Purché, però, venga fatta anche formazione sulla comunicazione, perché anche la comunicazione richiede uno studio approfondito dei metodi, degli strumenti e degli obiettivi che si intendono raggiungere.

Nella comunicazione si studiano i destinatari, si costruiscono percorsi, si scelgono i mezzi, si analizzano gli esiti e si riprogrammano gli interventi. Insomma, anche la comunicazione richiede cura. Moltissima cura. E se manca la cura, anche nella comunicazione gli esiti possono essere fatali.

Va da sé che formazione e comunicazione dovrebbero essere multidirezionali e multifocali, con spazi per feedback e confronti costruttivi continui, anche grazie al supporto della tecnologia, che può fungere da facilitatore nel processo di integrazione tra le due realtà. In questo modo si può costruire una realtà davvero collaborativa, in cui la formazione e la comunicazione si rinforzino a vicenda a beneficio di tutti: professionisti e cittadini.

La formazione ci fornisce le fondamenta, mentre la comunicazione ci consente di costruire su di esse. Costruire cosa? Prima di tutto, credibilità.

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