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Editoriale

Ancora un’ambulanza…

di Giordano Cotichelli

Quattro vite sono state stroncate dall’incidente in galleria, in prossimità di Urbino, che ha visto coinvolti un pulmino ed un’ambulanza. Tutti i passeggeri del mezzo di soccorso sono morti: Cinzia M. (infermiera), Stefano S. (autista), Sokol H. (medico) e Alberto S. (paziente). Mostrare dolore e vicinanza alle famiglie delle vittime ed a tutti i loro cari è il meno che si possa fare da queste righe scritte con profonda tristezza. Un cordoglio reso pubblico anche dall’Assessore alla salute e dal Presidente della Regione Marche, assieme al Ministro della Sanità ed a quello delle Infrastrutture e dei Trasporti. Quest’ultimo ha inviato anche una sua preghiera ed un abbraccio. Nei momenti di una qualsiasi tragedia umana, la vicinanza di qualcuno, anche a parole, può essere utile per lenire il dolore che sommerge chi subisce un lutto. Poi, il tempo passa e prima ancora che possa guarire le ferite profonde, per i più, la notizia, sarà già scomparsa nel mare della retorica mediatica quotidiana.

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Certo, se si potessero evitare le tragedie con le preghiere, saremmo tutti genuflessi a recitare ave Maria e Pater nostri. Nei fatti è difficile che possa funzionare e, ad ogni modo, è un compito più da prelati, proprio del loro ministero religioso. Mentre a livello istituzionale c’è bisogno di qualcosa in più di una semplice preghiera, perché un incidente stradale è qualcosa di estremamente complesso nelle dinamiche che lo caratterizzano, nelle cause e concause che lo generano, nel contesto in cui si sviluppa e nelle ricadute familiari, sociali e sanitarie che ne conseguono.

Un incidente stradale che coinvolge un mezzo di soccorso non riguarda solo elementi relativi al fatto in sé, il determinare responsabilità e colpe, ma è qualcosa che riguarda anche il mondo del lavoro, del volontariato, della sanità, perché chi rimane vittima a bordo di un mezzo di soccorso è un soggetto che sta facendo il suo lavoro, prestando la sua opera volontaria o, semplicemente, sta usufruendo di una prestazione sanitaria. Lavoro, sanità, volontariato e trasporti, mondi diversi che vengono a trovarsi coinvolti in una interazione globale che non può essere liquidata semplicemente con un abbraccio o una preghiera. C’è bisogno di qualcosa di più, specie a livello istituzionale. Specie se il numero degli incidenti stradali che riguardano i mezzi di soccorso sono tali da richiamare obbligatoriamente l’attenzione sull’urgenza del problema.

È giusto quindi cercare di conoscere meglio il fenomeno, almeno in termini semplicemente quantitativi. Al 31 marzo del 2023 il rapporto ISTAT per il 2022, sugli incidenti stradali a carico di mezzi di soccorso, mostra un totale di 1.132 eventi – con conseguenze per i passeggeri – rilevando una crescita del 3,2% rispetto al 2021, e con un bilancio di 37 vittime in totale, due in più (+ 5,7%) rispetto all’anno precedente. Le regioni maggiormente coinvolte sono state: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio, ma questo non toglie la gravità nazionale del problema.

La tragedia di Urbino è l’ennesimo monito non tanto verso cattivi comportamenti stradali, quanto verso una politica o, meglio, la politica, che deve farsi carico dei problemi, delle cause che li generano, del peggioramento delle condizioni generali della popolazione su piano sanitario, lavorativo e sociale. Dire che la responsabilità è individuale, o che ci si trova di fronte ad un errore umano, o che non si ha nulla da rimproverarsi, perché si è fatto di tutto, e non si avevano risorse, ed è colpa di chi c’è stato prima ed ogni altra scusante possibile ed immaginabile, nella sostanza è riconoscere che la politica che gestisce in questo tempo il nostro paese, più che essere considerata incapace di fare – quello che deve essere fatto – sorge il sospetto che la si possa considerare, sotto certi aspetti, come la principale causa del problema. Dei problemi tutti. Altrimenti è lecito chiedersi, e chiedere ai signori amministratori della cosa pubblica:

Ma che ci state a fare?

Una domanda che si riverbera se non sul piano giuridico almeno su quello politico, umano, collettivo e, per chi ama citarsi come devoto, sicuramente sul piano della coscienza religiosa. E, se tutto ciò è vero - e lo è – allora un po’ di responsabilità collettiva, Noi, come operatori, come utenti, come cittadini, dobbiamo sentircela addosso. Per espiare? Affatto. Per iniziare a cambiare il brutto stato delle cose. Lo dobbiamo alle ultime vittime di Urbino e a tutte le altre. Lo dobbiamo a questa società.

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