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Accessi impropri in Ps, ridurli valorizzando gli infermieri

di Monica Vaccaretti

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Un accesso su quattro, dei 18,7 milioni che si sono registrati nei Pronto Soccorso degli ospedali italiani nel 2023 presentando in oltre la metà dei casi una indicazione generica per disturbi generalizzati, è improprio. Lo rileva l'ultimo rapporto Agenas che ha presentato i dati sull'accessibilità della rete di Emergenza Urgenza. Dallo studio emerge che circa 4 milioni di persone, che rappresentano il 22% degli accessi complessivi, si sono rivolte in Ps impropriamente ossia per ricevere cure sanitarie non urgenti e che 3,4 milioni ossia il 5,8 della popolazione non riesce a raggiungere le strutture dedicate entro 30 minuti, il 99,9% vi arriva entro un'ora.

Bottega: Infermiere di famiglia permetterebbe di evitare i ritorni in Ps

accesso ps

Il 22% degli accessi al Ps del 2023 è improprio.

Dalla fotografia dell'attività degli ospedali sede di Pronto soccorso e di Dipartimento di Emergenza Urgenza ed Accettazione di primo e secondo livello (Dea I e Dea II) emerge che il 68% di tutti gli accessi sono codici bianchi e verdi.

In Veneto, dove si registra il numero più elevato di accessi in codice bianco a pagamento a circa 90 euro, i ricavi provenienti dal ticket raggiungono oltre 14 milioni di euro. Seppure a pagamento, i codici bianchi restano tanti a livello nazionale e sono responsabili anche dell'allungamento dei tempi di attesa per essere presi in carico - soprattutto in Friuli Venezia-Giulia, Abruzzo, Valle D'Aosta e Liguria - generalmente il 94% entro 30 minuti e il 99% entro 45 minuti.

Accedono impropriamente soprattutto uomini in età lavorativa, tra i 25 e i 64 anni, sia nei giorni feriali che festivi, prevalentemente in orari diurni, in particolare il lunedì nella fascia oraria 8-12. Arrivano in maniera autonoma o inviati dal proprio medico di famiglia, il 10% per problemi oculistici, il 7% per dolori addominali aspecifici, il 4,5% per sintomi o disturbi otorinolaringoiatrici.

Se al Triage infermieristico viene loro attribuito un codice bianco aspettano mediamente 164 minuti, se verde restano in Ps in media 229 minuti contro i 416 minuti di permanenza dei codici gialli. Poi vengono dimessi, a domicilio o a strutture ambulatoriali.

Sebbene i numeri degli accessi impropri sia elevato, in aumento del 6% rispetto all'anno precedente, il 75% dei Ps italiani registrano un numero di accessi inferiore allo standard di 20mila accessi annui stabilito dal decreto ministeriale n.70/2015, il Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera. Mentre i Dea di primo livello registrano performance migliori, il 29% degli ospedali non raggiunge nemmeno i 15 mila, probabilmente a causa di una eccessiva frammentazione di offerta sul territorio.

Secondo l'analisi condotta da Agenas, gli accessi impropri e le criticità legate all'accessibilità potrebbero essere ridotte significativamente potenziando l'assistenza territoriale attraverso una corretta implementazione del DM 77/2022, garantendo così il miglioramento della presa in carico dei cittadini nelle nuove strutture sanitarie previste dal Pnrr, come le Case di Comunità, nonché un efficientamento del personale sanitario.

Per ridurre gli accessi impropri nei Ps la strada giusta potrebbe essere anche la valorizzazione degli infermieri. Valorizzare le professioni sanitarie non mediche può dare risposta al bisogno di cure dei cittadini. Così Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche commentando il report di Agenas.

La presa in carico di un malato cronico da parte dell'infermiere di famiglia nelle Case di Comunità permetterebbe di evitare i ritorni in Ps. Promuovere altresì l'attività diretta degli infermieri in ambulatori ad hoc, una volta riconosciute a questa professione competenze avanzate, può rivelarsi il vero punto di svolta, riuscendo ad incidere sia su quel 22% di accessi impropri ai Ps, riducendo anche i tempi di attesa, sia sul fenomeno delle aggressioni. Esse sono infatti, nella maggioranza dei casi, l'effetto diretto, seppure sbagliato, di una mancata risposta alla domanda di cura, conclude.

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