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Responsabilità di fronte ad errata somministrazione di insulina

di MS

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La gestione delle crisi ipoglicemiche o, all’opposto, iperglicemiche rappresenta una di quelle competenze richieste all’infermiere, in particolar modo durante l’attività assistenziale extraospedaliera. Quando però tali abilità e capacità vengono meno, le conseguenze possono essere dannose per il paziente. Ne è la prova una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Num. 25876, pubblicata il 16/11/2020), la quale ha confermato, dando ragione alle sentenze di primo e secondo grado, la responsabilità di un infermiere di fronte ad una errata somministrazione di insulina.

Errata somministrazione di insulina e responsabilità dell'infermiere

Il diabete mellito rappresenta una di quelle malattie che può essere gestita anche in completa autonomia; coloro i quali sono affetti da tale patologia sono i protagonisti della cura, mentre gli infermieri diventano gli educatori sanitari, in grado di aiutare i malati stessi nel processo di autocura.

In Italia si calcola che 4 milioni di cittadini sono affetti da diabete (CINECA e Società Italiana di Diabetologia – Osservatorio ARNO Diabete – Il profilo assistenziale della popolazione con diabete – Report 2015 – Collana Rapporti ARNO – vol. XXIII, CINECA, Bologna, 2015) e la gran parte di essi sono in grado di somministrarsi i farmaci (compresa l’insulina) in contesto domiciliare.

Tuttavia, in una particolare situazione il diabetico in questione dimenticò di autosomministrarsi l’insulina, dimenticanza che richiese l’intervento del 118. Sopraggiunto sul posto un infermiere, immaginando che si trattasse di “coma iperglicemico”, somministrò insulina sottocute. Purtroppo però, la quantità di insulina somministrata provocò un coma ipoglicemico, dal quale residuò una sindrome amnesica anterograda.

Nella relazione del CTU (Consulente tecnico d’ufficio) si evince chiaramente la responsabilità dell’infermiere: pur avendo evidenziato difficoltà interpretative della crisi del paziente (il quale presentava un quadro compatibile con il coma iperglicemico), comunque, in considerazione del comprovato coma ipoglicemico riscontrato successivamente presso l’ospedale, la somministrazione di insulina era apparsa una scelta errata, e che delle due l’una, o l’ipoglicemia era stata provocata da un eccessivo quantitativo di insulina o il coma era stato, fin dall’inizio, ipoglicemico e, di conseguenza, la terapia non adeguata.

Ed anche di fronte al concorso di colpa del paziente (il quale, ricordiamolo, dimenticò di somministrarsi la dose di insulina), continua il CTU, un intervento terapeutico adeguato avrebbe potuto interrompere il processo patologico innescato dalla mancata assunzione del farmaco per colpa del paziente, mentre nella specie vi era stato un errore professionale, quanto meno per dosaggio terapeutico eccessivo, che non aveva interrotto il coma, prolungando fino al ricovero in ospedale, e che aveva perciò avuto un’efficacia diretta concausale nella produzione dell’evento.

A fronte di tale giudizio, presente nella sentenza della Corte d’appello, ricorse per Cassazione l’Azienda Sanitaria Locale, la quale concentrò le sue argomentazioni sul “problema tecnico di speciale difficoltà” che, se accolto dalla Cassazione avrebbe, verosimilmente, scagionato l’infermiere.

Lo avrebbe scagionato poiché il problema tecnico di speciale difficoltà si collega, sempre secondo la relazione del CTU, all’art. 2236 del Codice civile secondo cui la responsabilità del professionista è limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave e ricomprende non solo la necessità di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori, ma anche l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media.

In realtà la difficoltà interpretativa della crisi del paziente non è suscettibile di qualificazione nei termini di problema tecnico di speciale difficoltà, apparendo piuttosto una complicanza insorta nel corso dell’intervento. La mera difficoltà del quadro sintomatologico non pare di per sé capace, in mancanza di altre circostanze, di ascendere allo stadio del problema tecnico di speciale difficoltà.

Semplificando possiamo affermare che, nel caso in esame, la valutazione del paziente rientrava nelle competenze e conoscenze dell’infermiere e non rappresentava una situazione di speciale difficoltà né tantomeno, un problema insolubile. Per tale motivo anche la Corte di Cassazione, nel confermare le precedenti sentenze, condanna la ASL al risarcimento del danno nei confronti del paziente.

A questo punto facciamo uno sforzo culturale e proviamo a dare una nuova lettura della relazione del consulente tecnico d’ufficio. Egli afferma che l’affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità richiede un impegno intellettuale superiore alla media, come se l’infermiere non avesse tali capacità. In realtà le cose non stanno proprio così.

L’articolo 1176 del Codice civile così recita: nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Per diligenza si intende quel complesso di cure e cautele che il debitore deve impiegare per soddisfare la propria obbligazione. Essa costituisce il parametro con il quale valutare se l’inadempimento sia colposo o meno.

La diligenza esigibile dal professionista sanitario è quella del regolato e accorto professionista, ossia del professionista esercente la sua attività con scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale. Ne deriva che anche di fronte ad un problema tecnico di particolare difficoltà o nuovo, l’infermiere è in grado di intervenire in maniera accorta e con scrupolosa attenzione.

Concludendo, possiamo affermare che, se non lo abbiamo fatto finora, è ora necessario alzare l’asticella, alzarla verso ambiti sempre più di competenza dell’infermiere, riducendo al minimo le possibilità di errore dovuti ad una mancanza di cultura. Questo atteggiamento si aspettano da noi.

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Commenti (1)

Margherita Grumi

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1 commenti

Responsabilità di fronte ad errata somministrazione di insulina

#1

buon giorno, ho letto con attenzione e mi chiedo questo: lavoro presso un punto prelievi nel quale vengono fatte le curve glicemiche con relativa somministrazione di glucosio 75mg/ml (si eseguono dopo rilevazione glicemia tramide prelievo capillare...si eseguono anche in donne gravide...si eseguono in pz che non hanno diagnosi sempre accertata di diabete o che hanno o non hanno famigliarità...nel protocollo vi è riportato che in casi di malessere del pz non siamo tenuti a somministrare nulla...possiamo "solo" controllare i parametri vitali ma di fronte ad un coma iperglicemico non abbiamo possibilità di somministrare insulina...in questo caso, come rispondere alle conseguenze? grazie