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Cure palliative nella malattia renale cronica avanzata

di Silvia Ancona

Quando ci si trova di fronte a pazienti portatori di una malattia renale cronica (MRC) avanzata, ruolo fondamentale dei professionisti sanitari è quello di informare circa le diverse modalità di trattamento, senza dimenticarsi che la decisione finale appartiene sempre al paziente stesso. Il team sanitario, infatti, sa che non sempre la dialisi è la migliore soluzione alla MRC avanzata, specialmente in pazienti con prognosi molto infausta o grandi anziani. In questi casi l'obiettivo diventa quello di garantire un accompagnamento al fine vita nel pieno rispetto della dignità umana, migliorando la qualità della vita, controllando la sintomatologia e trattando gli stati depressivi e dolorosi della persona.

Malattia renale cronica grave: dalla pre-dialisi alle cure palliative

La dialisi è un tipo di trattamento deputato a depurare l'organismo dalle sostanze tossiche che si accumulano nel sangue, ripristinare l'equilibrio idro-elettrolitico, controllare l'acqua corporea che non viene più eliminata adeguatamente e, infine, ripristinare l'equilibrio acido-base.

Il trattamento dialitico viene valutato qualora un paziente presentasse un'insufficienza renale cronica severa e quindi un deterioramento della funzionalità renale tale da portare alla morte se non trattato in modo tempestivo.

Ma fino a che punto il trattamento dialitico rappresenta un modo di prendersi cura del paziente con una malattia renale cronica avanzata? Ci sono situazioni in cui la scelta del trattamento merita un'attenta valutazione da parte del team sanitario: un esempio è quando il paziente è un grande anziano e presenta comorbidità di tipo cardiaco od oncologico, oppure quando la prognosi della patologia è molto infausta.

In questi casi, forse, è da considerare un approccio alternativo, che miri alla presa in carico globale della persona e al suo accompagnamento al fine vita nel modo migliore e più rispettoso possibile. Tale approccio è rappresentato dalla medicina palliativa, ovvero da tutto ciò che si può fare quando non c'è più nulla da fare per il malato, non per guarire, impedire la morte o prolungare la vita, ma permettere al malato di vivere meglio il tempo che gli resta da vivere (Mocco et al.).

Ruolo del team infermieristico nel fine vita

Parlare di cure palliative non è semplice, specialmente in pre-dialisi. Si ha la convinzione che la morte di un paziente corrisponda ad un fallimento del proprio operato, ma non è così. Curare significa anche controllare il dolore e i sintomi nonché migliorare la qualità della vita nell'accompagnamento alla morte, garantendo alla persona il pieno rispetto della sua dignità umana.

Sottolineano gli autori dell'indagine che numerosi studi in pazienti con MRC in età avanzata e con numerose comorbilità, hanno dimostrato che quando il trattamento dialitico viene confrontato con un approccio palliativo, i benefici ottenuti dalla dialisi in termini di sopravvivenza sono davvero marginali: 8.3 mesi con la dialisi rispetto 6.3 mesi con le cure palliative = 16% di sopravvivenza in più a 12 mesi.

Identificare i pazienti con una malattia renale cronica all'ultimo stadio in età avanzata permette di creare percorsi palliativi efficaci che permettono di guadagnare tempo per discutere con il paziente circa l'assistenza e il trattamento in base alle sue preferenze, ai suoi bisogni reali e desideri di cura.

L'équipe deve saper riconoscere e comprendere la sofferenza delle persone affette da malattie non guaribili, degenerative e croniche ed elaborare insieme a loro gli obiettivi del trattamento e dell'assistenza, avvalendosi sempre della collaborazione di uno psicologo, del medico di medicina generale, di un team palliativista e di qualsiasi persona richieda il paziente.

L'approccio alle cure palliative deve essere parte integrante della formazione e dell'aggiornamento delle professioni sanitarie, specialmente negli aspetti della comunicazione, del trattamento della sintomatologia e del dolore e degli aspetti etici e legali. In questo modo si potrebbero organizzare percorsi assistenziali condivisi che dovrebbero iniziare già nel pre-dialisi.

Questo perchè — evidenziano gli autori — le cure palliative non entrano in campo solo alla fine della vita, come se solo vicini alla morte finalmente avessimo il diritto di non soffrire, ma mesi e anche anni prima.

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